Pasabagi la vigna del Pascià

 

Mi inginocchio ancora una volta, posando la mano sulla pietra fredda, e provo a sentire sotto le dita la storia nascosta di questo luogo. Non sono solo le sue forme a parlare, ma le sue origini, quei processi invisibili e titanici che hanno plasmato questa terra in un mosaico di ricordi geologici. È come se, ascoltando attentamente, potessi udire il sussurro di antichi vulcani, il pianto di acque lontane, il respiro del vento che, millenni fa, scolpì questa terra con una forza primordiale.

 

 

Il principale protagonista di questa storia è stato il magma, un soffio di fuoco che ha attraversato le viscere della Terra, un sangue bollente che ha gonfiato le vene delle rocce. Quando il magma si solidificò, lasciò tracce indelebili, stratificazioni di materiali incandescenti e raffreddati, che ricoprirono gli antichi sedimenti portati qui dalle acque. Questi strati, sovrapposti come pagine di un libro, nascosti dalle colate laviche raccontano di ere di quiete e di tumulto, di silenzio e di esplosioni.

 

Le erosioni, poi, entrarono in scena, come un artista silenzioso che scolpisce con il vento, l’acqua e il gelo. Le piogge, con le loro mani invisibili, scavarono profonde fenditure, allargarono crepe e portarono via le parti più fragili, lasciando dietro di sé le guglie aguzze sormontate da rocce piroclastiche dando luogo alle forme improbabili che oggi ammiriamo. È un processo di lenta distruzione e di rinascita, di un ciclo senza fine, in cui la pietra si fa più sottile, più fragile, ma anche più ricca di significato.


Guardando le stratificazioni, noto come le linee di diverso colore e consistenza si intreccino tra loro, creando un disegno complesso e misterioso.

 

Sono le tracce di tempi differenti, di ambienti diversi: ci sono i sedimenti più antichi, più chiari, che testimoniano le piogge di qualche millennio fa, e quelli più recenti, più scuri e compatti, che parlano di eruzioni vulcaniche e di lunghi periodi di quiete glaciale.

 

Ogni strato è come una memoria sedimentata, un ricordo di un mondo che si è trasformato, di forze che si sono incontrate e si sono scontrate. La loro disposizione, le pieghe e le ondulazioni, sono come le pagine di un diario scritto con il linguaggio degli elementi. È un racconto che non ha bisogno di parole, perché si legge nei dettagli, nelle forme e nei colori.

 

Mi rendo conto che questa valle, ora denominato Museo a cielo aperto, è un monumento alla potenza della natura, un esempio di come il tempo stesso sia un artista che scolpisce e scolora, che crea e distrugge con il suo flusso incessante. Ogni pietra, ogni crepa, ogni forma modellata dal vento e dall’acqua, porta in sé questa storia di nascita e di morte, di trasformazione infinita.

 


Eppure, in questa storia di forze primordiali, trovo anche un simbolo di resistenza. La pietra, così come gli antichi abitanti di queste terre, sopravvive e si adatta, assorbe le ferite del passato e le trasforma in bellezza. La mia macchina fotografica cerca di catturare questa resilienza, questa capacità di rinnovarsi nonostante tutto, come un atto di rispetto verso il passato che vive ancora nel presente.

 

Continuo a cercare un’immagine che possa raccontare questa genesi, questa energia primordiale che ha dato origine a tutto. La trovo nei dettagli più nascosti, come le linee di frattura che attraversano le rocce, come le microstrutture che si svelano solo sotto l’obiettivo. Sono i segni di un’origine che non si vede, ma si percepisce, come un battito sottile che pulsa sotto le superfici di pietra.

 

In questa ricerca, capisco che il mio scatto è anche un modo di entrare in sintonia con questa forza ancestrale, di diventare parte di un flusso che ha attraversato i secoli. La valle, con le sue forme e le sue stratificazioni, diventa così un’immagine di eternità, un simbolo di come le forze invisibili della natura possano plasmare non solo la terra, ma anche le nostre emozioni e i nostri desideri più profondi.

 

 

E mentre il sole riscalda la mia pelle, sento che la mia ricerca non è solo di immagini, ma di verità. La verità di un’origine che ci unisce, che ci rende partecipi di un ciclo senza fine, e che ci invita a rispettare e ad ascoltare il silenzio delle pietre, custodi di storie che non si raccontano con le parole, ma con i segni lasciati dal tempo.

 

6/9/25