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Valle dell’amore

La valle delle ombre e dei sogni

 

 

 


Cammino in una valle a me ancora ignota. La mattina si apre come un sipario di luce dorata, e il sole, ancora timido, svela le forme di questa valle che sembra un labirinto di sogni scolpiti dal tempo. I passi, prima incerti, si fanno mano a mano più sicuri ora che riconosco le forme e i profumi della vegetazione che mi circonda. Il  vento  gioca tra le guglie di tufo sussurrando come un vecchio saggio che ha attraversato il tempo  portando con sé storie di pietra e di vento. Valle dell’amore è chiamato questo luogo, sì, ma anche della memoria, della speranza e della paura. Un luogo che chiede di essere letto come un libro aperto, o meglio, come un poema che si svela pietra dopo pietra.

 

Mi inserisco in questa scena come un viaggiatore che non cerca solo immagini da catturare, ma simboli da decifrare. La mia macchina fotografica, un’estensione del mio occhio e del mio cuore, si muove tra le guglie che sembrano colonna di cattedrali di un mondo nascosto. La valle dell’amore, così chiamata, si presenta come un ventre aperto di pietra, un ventre che ha partorito forme e storie di desiderio e di abbandono, di passione e di silenzio.

 

Il vento mi sfiora leggero, come un tocco di piuma, e muove i miei capelli, secca  la mia pelle, scuote turbini di polvere che si sollevano come fantasmi invisibili. Il mio sguardo si posa sulle forme, sulle curve che ricordano labbra, seni, bacini, membri ma anche colline e vasi di pietra. È come se ogni forma fosse un simbolo, un messaggio nascosto, un frammento di un racconto più grande che solo la mente in connessione con il cuore può leggere.

 

 

 

 

Il primo scatto nasce spontaneo, come un gesto di comprensione silenziosa. La macchina si mette in posizione, e il silenzio si fa più profondo. La valle respira, sembra respirare, come un gigante addormentato che sogna di sé stesso. Le guglie si ergono alte, come colonne di un tempio di pietra dedicato all’amore, perduto e ritrovato. Le ombre, lunghe e mobili, danzano sulla sabbia, creando un gioco di luci e di oscurità che richiama le contraddizioni dell’animo umano.

 

In questa luce, mi sento come uno spettatore e un protagonista di un dramma senza parole. Ogni immagine è un simbolo, ogni dettaglio un messaggio che che mi sembra parli  di desiderio e di paura, di apertura e di chiusura. La valle diventa un teatro di emozioni, un palcoscenico di pietra dove si recita una tragedia antica e senza tempo.

 

Il vento continua a soffiare, e con esso arrivano ricordi e fantasmi. Ricordi di amori vissuti e perduti tra queste stesse rocce, fantasmi di sogni che si sono infranti contro queste  pareti sedimentarie levigate dalle stagioni e plasmate dal clima. Ma anche sogni che si affacciano timidi, come germogli di rosmarino e ginestra , speranza tra le crepe della roccia.

 

 

 

 Il vento, così

 

 

 


volatile e impetuoso, sembra voler ricordare che tutto è in movimento, che niente è definitivo, inpermanente , che anche la pietra più dura può essere scolpita dal tempo e dal desiderio.

 

Mi sposto verso una delle guglie più alte, quasi a voler toccare il cielo, o forse a voler affondare nell’inconscio di questa terra antica. Lo scatto della mia macchina fotografica si arresta e il mio sguardo si perde in un dettaglio: una crepa attraversa longitudinalmente la pietra come una cicatrice, e un fiore di malva sboccia al suo interno, un segno del passato e della  forza della vita. Un simbolo di ferita e di resilienza, di memoria e di speranza. La crepa diventa un confine, una cesura netta, tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra il passato e il futuro.

 

Nel terreno scosceso, dove tra la sabbia e le pietre si scorgono fossili, la vite, porta i suoi frutti, coltivata dalla mano dell’uomo a cespuglio, libera di trovare la conformazione più idonea a resistere in questo arido clima. La vite porta con sé anche un senso di libertà, come se volesse insegnare che ogni cosa è fragile eppure, nello stesso tempo, resistente,  e che ogni desiderio, anche il più nascosto, può trovare uno spazio tra le pieghe di questa valle di pietra e di sogni.

 

Intanto la luce del sole aumenta e con essa cresce anche la consapevolezza che il paesaggio non è solo una sterile scena da osservare, ma un simbolo di ciò che siamo e di ciò che aspiriamo a diventare. Mi accorgo che ogni scatto impresso nella scheda fotografica non è solo un’immagine, ma una domanda che cerca  risposta  in una natura che sembra averla già scritta ma che si svela solo attraverso i miei occhi e di chi sa vedere. La valle si trasforma così in un’immagine interiore, un riflesso delle emozioni più profonde, un sentiero invisibile che conduce dentro me stesso.

 

 

 

 

 

Il vento infine si placa, come se avesse detto tutto ciò che aveva da raccontare, e il sole si fa più caldo e più luminoso, innondando la valle di una luce quasi sacra. Abbasso la macchina, e mi fermo a contemplare il paesaggio, che ora mi appare come un gigantesco manoscritto scritto con lettere di pietra e di vento. Le guglie sormontate da massi scuri, le crepe, le ombre degli alberi e le luci sono diventate simboli di un viaggio interiore, di un desiderio di comprensione.

 

Tra le torri di tufo ed il vento che porta via le nuvole di pensieri, il mio spirito si eleva, libero come una farfalla tra le crepe di questa valle che è anche un ventre, un cuore pulsante di desiderio e di memoria. La valle, che hanno chiamato dell’amore, in fondo, è la valle dell’anima, quella che si scopre solo quando si ha il coraggio di guardare oltre le apparenze, di ascoltare il sussurro del vento e di leggere i simboli nascosti tra le pietre.

 

 

 

 


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